Segnalato in Val d’Ossola fino all’inizio del 1700 (a Macugnaga, per la precisione), lo stambecco ricompare nel territorio del parco naturale dell’Alpe Veglia e Devero alla fine degli anni ’70. Tra il 1977 ed il 1979, 13 esemplari provenienti dal parco nazionale del Gran Paradiso, vengono liberati all’Alpe Veglia. Nel 1983, anno di assunzione dei primi guardiaparco, di quegli animali non rimane alcuna traccia…. Sporadicamente, qualche esemplare proveniente dalle colonie del Canton Vallese fa capolino all’Alpe Veglia, ma bisogna aspettare fino agli inizi degli anni ’90 per poter osservare regolarmente questa specie nel parco. Proprio in quegli anni, infatti, nell’ambito di un programma volto a diffondere lo stambecco in modo capillare sulle montagne del Vallese, le autorità svizzere iniziano a rilasciare stambecchi in due siti vicini al parco. Subito, alcune femmine si stabiliscono sul versante italiano e nell’inverno del 1993, in occasione del primo censimento organizzato dell’Ente di gestione del parco, la popolazione di stambecco conta 17 esemplari.  Dopo vent’anni, il numero di stambecchi presente nel parco e nelle aree immediatamente limitrofe raggiunge i 300 esemplari.

La storia della colonia della valle Antrona è meno nota nei dettagli. Anche in questo caso si è trattato di una colonizzazione spontanea avvenuta negli anni ’80, da parte di animali provenienti dalle vicine colonie vallesane (di Saas e dello Seehorn) e di Macugnaga, dove la specie è stata reintrodotta negli anni ’60. Quale sia stato il contributo da parte delle diverse colonie non è dato saperlo, ma un ruolo importante è stato senza dubbio giocato, per la vicinanza e numerosità, dalla colonia di Saas.

Lo stambecco è un ungulato perfettamente adattato all’ambiente alpino. Il suo corpo è costruito per vivere sulle rocce e per fronteggiare inverni lunghi e nevosi. In buona parte del loro areale, gli stambecchi trascorrono la difficile stagione invernale su ripidi versanti rocciosi esposti ai quadranti meridionali, spesso oltre i 2000-2500 m. di quota. Qui, rispetto alle zone meno ripide, la neve si ferma poco a causa della pendenza (valanghe) e del soleggiamento. Per spostarsi agevolmente in questo tipo di terreno servono però zampe relativamente corte (baricentro basso, migliore equilibrio) e dotate di zoccoli particolari. La parte esterna dello zoccolo è infatti dura e affilata per fare presa sulla neve o sul terreno ghiacciati. La parte interna è invece morbida e consente di aderire alle più piccole asperità della roccia. Anche per degli ottimi arrampicatori non è comunque il paese del bengodi. Sebbene le valanghe lascino affiorare pascoli dove nutrirsi, il cibo è di scarsa qualità (erba secca, principalmente) e poco nutriente. Diventa quindi fondamentale affrontare l’inverno con una bella riserva di grasso accumulata durante la stagione estiva e, soprattutto, evitare gli sprechi... In questo gli stambecchi sono maestri, essendo in grado di ridurre l’attività metabolica in modo sorprendente. Si è infatti scoperto che, durante l’inverno, il ritmo cardiaco di questi animali è di circa 40-50 battiti al minuto rispetto ai 110 estivi. L’ampiezza della riduzione tra il picco estivo e quello invernale è analoga alla variazione che si osserva in animali che vanno in letargo!! Un modo per risparmiare energia è quello di non “sprecarla” per riscaldare il proprio corpo. E gli stambecchi sono in grado di fare anche questo! Durante una notte invernale la loro temperatura corporea è più bassa rispetto al giorno di oltre un grado. Quello che si è scoperto che l’andamento giornaliero della temperatura riflette il ciclo del sole. Inizia ad aumentare dopo suo sorgere e cala dopo il tramonto, dimostrando come la loro temperatura corporea sia strettamente dipendente dall’energia solare. In modo molto simile ad un gruppo di animali filogeneticamente molto lontani dagli stambecchi: i rettili!

Ultimo aggiornamento: 14/02/2018 ore 16:48:31

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